
Adagiata sulla sommità del Gianicolo, con una vista che abbraccia i tetti ocra di Roma, l’Accademia Americana si cela agli sguardi come un segreto ben custodito. In un certo senso, lo è davvero: con i suoi cortili silenziosi, il giardino rigoglioso dove Galileo mostrò per la prima volta pubblicamente il suo telescopio a Roma nel 1611, e gli alberi secolari, la villa emana un’atmosfera raccolta e contemplativa, che sembra lontana anni luce dal trambusto della città sottostante. Eppure è profondamente intrecciata con i ritmi della Città Eterna: un luogo in cui la storia antica e la creatività contemporanea coesistono in modo raro e affascinante.

“L’Accademia Americana è come un super-acceleratore di particelle”, afferma Aliza Wong, direttrice dell’Accademia dal 2022. “Una fusione di creatività, azione e riflessione intellettuale, tutto in un unico luogo meraviglioso, profondamente radicato nel tessuto della città di Roma.
Mi piace pensarla come una continuazione del Grand Tour tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.”
Fondata nel 1894 e riconosciuta ufficialmente dal Congresso degli Stati Uniti, l’Accademia Americana di Roma è la più antica istituzione americana all’estero dedicata al lavoro indipendente di ricerca e di creazione artistica. Ogni anno, l’Accademia assegna il prestigioso Premio Roma a un gruppo selezionato di artisti e studiosi americani di eccezionale talento. I vincitori, scelti attraverso un processo altamente competitivo, ricevono una borsa di studio, uno spazio di studio o lavoro, e vitto e alloggio completo presso l’Accademia per un periodo da cinque a undici mesi. La struttura accoglie anche artisti e studiosi non americani attraverso vari programmi, e offre borse di studio ad artisti italiani e creativi provenienti da tutto il mondo.
L’elenco dei borsisti e dei residenti che sono passati di qui nel corso degli anni è impressionante: compositori come Aaron Copland, artisti come Cy Twombly, scrittrici come Jhumpa Lahiri e Toni Morrison hanno, in momenti diversi, soggiornato presso l’AAR. Oggi, i suoi borsisti sono un affascinante intreccio di giovani prodigi agli inizi della carriera e pensatori affermati, ognuno con la propria visione da realizzare in un contesto che incoraggia la riflessione lenta e la connessione umana.

“È facile scegliere qualcuno che ha già vinto un Pulitzer o un Nobel”, dice Wong. “La vera sfida è riconoscerli prima che lo facciano e, in qualche modo, la nostra giuria ci è riuscita, più volte, e questo è un risultato straordinario.”

Ma definire l’AAR semplicemente un’istituzione significa non coglierne l’essenza. È un organismo vivo e pulsante: una casa, un laboratorio, un think tank, un’esperienza condivisa. “L’AAR offre un dono raro: il tempo e il luogo, dando ai borsisti la possibilità di fermarsi, esplorare nuove idee e creare opere significative in una delle maggiori città fonte d’ispirazione al mondo”, afferma Wong. Nel suo intimo, è un luogo che parla di tempo, non in senso cronologico, ma filosofico. Tempo per pensare. Tempo per creare. Tempo per dialogare.
Per Aliza Wong, è Roma a rendere possibile tutto questo. “È una città straordinaria, dove il passato e il presente convivono fianco a fianco”, afferma. “Molti la immaginano come un luogo antico, fatto di toghe e rovine, colonne di marmo scolorite dal sole e monumenti secolari, quando in realtà è un luogo colorato, multiculturale, vibrante e vitale.”

“Penso sempre al cemento dei marciapiedi di Roma, e a come nel corso della storia le radici degli alberi lo abbiano attraversato, come esseri viventi”, prosegue. “Questa immagine, per me, racchiude l’essenza di Roma. È fatta di rovine, sì, ma anche di immigrati, rifugiati, persone che hanno scelto di venire qui e continuano a costruire quartieri, musei, a esporre arte, scrivere libri, fare scoperte. Ed è questo che cerco di trasmettere ai nostri borsisti: Roma è sempre viva.”
“Anche la comunità è l’ingrediente segreto dell’AAR”, sottolinea Wong.
Dai compositori ai pittori, dagli archeologi ai classicisti, i borsisti rappresentano un ampio spettro di discipline. Non si limitano a coesistere: collaborano. Si mettono alla prova a vicenda, si stimolano e si ispirano come sarebbe impossibile in ambienti più compartimentati.

La magia avviene non solo negli studi o nelle aule, ma attorno al tavolo.
L’Accademia conserva una tradizione amatissima: due pasti comuni al giorno, resi possibili grazie al Rome Sustainable Food Project (RSFP), una delle iniziative più significative dell’Accademia. Fondato nel 2007 dalla chef e attivista alimentare Alice Waters, l’RSFP fornisce pasti sani, stagionali e a chilometro zero alla comunità di artisti e studiosi dell’Accademia, promuovendo sostenibilità, responsabilità ambientale e la ricchezza culturale della tradizione gastronomica romana e mediterranea. Oltre a servire pranzi e cene sempre diversi, l’RSFP è anche un modello di integrazione tra cibo, comunità ed educazione, dimostrando come una cucina attenta possa nutrire sia il corpo che la mente.
“Una delle principali missioni dell’AAR è far conoscere ai borsisti lo stile di vita italiano”, spiega Wong. “Il cibo, come sappiamo, è un veicolo meraviglioso per farlo. Così, ogni giorno, alle 13 e alle 20, invitiamo i nostri artisti a spegnere i computer, posare le penne, mettere da parte i pennelli, e semplicemente sedersi insieme e parlare.” Questo, aggiunge Wong, è fondamentale per immergersi completamente nell’Accademia. “Mangiare insieme ricorda a questi brillanti creativi che dietro l’artista o lo studioso c’è un essere umano, ed è proprio questa persona che vogliamo celebrare.”
Docente di storia e preside ad interim dell’Honors College della Texas Tech University, Wong è la venticinquesima direttrice dell’Accademia. Parlare con lei è un piacere: grande appassionata, con un ottimismo contagioso, incarna perfettamente ciò che l’Accademia rappresenta oggi: apertura, intelligenza acuta ed empatia.
“Come direttrice, la mia filosofia e la mia convinzione più profonda è che il mondo sarà salvato dalle arti e dalle scienze umane”, afferma. E l’Accademia è un laboratorio di ciò che verrà. “Qui stiamo costruendo qualcosa – qualcosa che rispetta la tradizione, ma non ha paura di metterla in discussione.”

Questa tensione tra rispetto e rinnovamento attraversa ogni corridoio dell’Accademia, dai cortili affrescati alla biblioteca, fino al giardino, dove gli artisti si siedono a pensare. Ed è anche questo che la rende una parte così vitale del tessuto culturale di Roma. Se la città è ricca di grandi musei e antiche rovine, l’Accademia offre qualcosa di diverso: uno spazio per il processo creativo, per il dialogo, per l’opera in divenire.
Questo spirito si manifesta ogni primavera, durante gli Open Studios dell’Accademia, quando il pubblico è invitato a visitare gli spazi e incontrare i borsisti. Oltre 2.000 visitatori vengono a esplorare gli studi, assistere a performance e vedere le installazioni. L’evento, come l’Accademia stessa, riesce a mantenere un’atmosfera intima pur abbracciando una vasta partecipazione. “È il nostro modo di dire grazie a Roma”, spiega Wong. “Siamo ospiti qui. Ma siamo anche parte di questa città. Gli Open Studios sono la celebrazione di questo legame.”

Più avanti nella stagione si tiene il McKim Medal Gala – che quest’anno sarà il 4 giugno – una serata straordinaria che riunisce artisti, filantropi ed esponenti del mondo della cultura provenienti da tutto il mondo per sostenere la missione dell’AAR. È l’Accademia nella sua versione più glamour, ma anche in questa cornice emerge lo spirito di un intento comune. “C’è generosità in questo luogo”, afferma Wong. “La convinzione che ciò che facciamo è importante. Che vale la pena investire nella bellezza, nel pensiero e nella comunità.”
E forse è proprio questo il dono più grande dell’Accademia: una visione di quello che può essere il mondo se si dà tempo, spazio e cura alla creatività. In un’epoca che spesso privilegia la velocità rispetto alla profondità e il prodotto rispetto al processo, l’Accademia Americana di Roma è un atto di fede radicale.

Ma la cosa davvero straordinaria, dice Wong, è vedere cosa fanno i borsisti una volta conclusa l’esperienza. “Le persone tornano a casa cambiate”, dice semplicemente. “Quello che facciamo è piantare il seme di Roma, che fiorirà altrove. Sboccerà negli Stati Uniti, in Australia o, grazie al nostro Artist Protection Fund, in Libano, oppure in Iran o in Yemen, od ovunque provengano i nostri borsisti, che portano Roma con sé. E anche questo luogo.”
Chi ha la fortuna di poterne varcare i cancelli – per visitare uno studio, assistere a un concerto in giardino o semplicemente ammirare la città dall’alto – lo avverte immediatamente: il brulichio delle idee, il tintinnio dei bicchieri, e l’emozione silenziosa di trovarsi in un luogo che crede ancora nel potere dell’arte di cambiare il mondo.

“Penso che l’Accademia promuova ciò che chiamo ‘umanità sostenibile’”, conclude Wong. “Ci ricorda che dobbiamo prenderci cura non solo di ciò che produciamo, ma anche di chi lo produce.”