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ISSIMO X le Donne del Vino: Matilde Poggi

ISSIMO X le Donne del Vino: Matilde Poggi

La proprietaria di Le Fraghe ci parla di viticoltura indipendente e dell'importanza di rispettare la terra

Matilde Poggi
Matilde Poggi - Foto di Mauro Fermariello

Matilde Poggi è la forza trainante dietro Le Fraghe e una voce autorevole nel panorama enologico italiano.
Radicata nelle dolci colline di Bardolino, produce vini con precisione, passione e profondo rispetto per la terra dal 1984, anno in cui ha fondato la sua tenuta, affermandosi presto come pioniera della viticoltura sostenibile nella regione. Negli anni ha contribuito a definire l’identità dei vini Bardolino e ha sostenuto il ruolo dei vignaioli indipendenti in tutta Europa, ricoprendo il ruolo di presidente sia della FIVI che, fino a poco tempo fa, della CEVI, la Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti. I suoi vini sono un’espressione sincera del territorio: eleganti, misurati e pieni di carattere, proprio come Matilde.

Desiderosi di saperne di più sulla sua filosofia, le abbiamo fatto alcune domande. Ecco cosa ci ha raccontato.

Com’è iniziato il tuo percorso nel mondo del vino?

È iniziato da piccola: in realtà, ha sempre fatto parte della mia vita.
Provengo da una famiglia di agricoltori, e in casa sentivo ogni giorno parlare di vigne e di vini. Alcuni dei miei ricordi più vividi sono le prime vendemmie a ottobre, subito dopo la scuola. Ero affascinata da un mondo così profondamente legato ai ritmi delle stagioni.

Col tempo, è sorto in me il desiderio di mettere le mani in vigna” contribuendo a far nascere vini miei, con dedizione e rispetto per la terra. Così è nata l’azienda Le Fraghe. Il nome viene dal vigneto proprio davanti alla corte aziendale, il primo che ho vinificato, nel 1984.
Non ho mai saputo perché si chiami “Le Fraghe” (che nel dialetto veronese significa “fragole”); probabilmente perché è l’unico vigneto della proprietà in cui crescono spontaneamente molte fragole selvatiche.

Le Fraghe

Negli ultimi 40 anni ho fatto scelte, preso rischi, commesso errori, e tutto ciò ha contribuito a creare quella che oggi è una delle cantine di riferimento della denominazione Bardolino.

Le Fraghe è sinonimo di Bardolino, ma anche di un approccio naturale e sostenibile. Qual è la tua filosofia nel coltivare la vigna e produrre vino?

Ogni cosa che faccio in vigna nasce da un profondo rispetto per la terra e per ciò che offre naturalmente. Sono molto consapevole dell’unicità di questo territorio, e il mio obiettivo è far emergere questa unicità nei vini che produco.

Dal 2009 siamo certificati come azienda biologica, una scelta fatta perché credo che, come agricoltori, siamo i primi custodi della terra.
È un’eredità da preservare e trasmettere nelle migliori condizioni possibili alle generazioni future. Mi piace lavorare insieme alla natura, senza forzarla.

vigna Fraghe

Guidata dalla passione per questo paesaggio, e senza un percorso già tracciato, mi sono sempre sentita libera di fare vini che seguissero la mia visione. Rispecchiano il mio gusto personale, non le mode del momento. Non ho mai inseguito le mode. Un vigneto è un impegno a lungo termine, destinato a durare decenni; non può seguire le mode.
Deve esprimere la massima qualità di quel luogo specifico.

Quello che amo di più è quando i miei vini riflettono sia il mio tocco personale, sia l’impronta inconfondibile del nostro territorio e del microclima unico del Lago di Garda e della Valdadige.

Il vino racconta la storia di un luogo. Cosa raccontano i tuoi vini del tuo territorio?

I miei vini parlano del paesaggio che amo e in cui vivo: il Monte Baldo, che domina a nord, il lago di Garda con un clima tipicamente mediterraneo, la Valdadige lungo la quale scendono i venti freschi da nord. Raccontano la storia della DOC Bardolino e del mio desiderio di proteggerla, attraverso una vinificazione attenta e rispettosa, che mira a valorizzarla. Ogni bottiglia porta con sé un frammento di quella storia, che scrivo da oltre 40 vendemmie.

Qual è il vino che ti rappresenta di più, il tuo vino simbolo?

Domanda difficile. Ogni mio vino ha una sua ragion d’essere e racconta qualcosa di me. Ma se dovessi sceglierne uno, direi il Traccia di Rosa, un Chiaretto fuori da ogni schema.

È uno dei pochi rosati a essere rilasciato dopo un lungo affinamento, ed è un vino che esprime al meglio il suo potenziale dopo qualche anno in bottiglia. È vinificato in cemento e poi affinato per un anno sulle fecce fini, sempre in cemento, il che gli conferisce grande eleganza e salinità, qualità che provengono dai suoli morenici di origine glaciale.

Per me, il rosato è il “terzo colore” del vino, e merita la stessa attenzione dei bianchi e dei rossi.

Negli ultimi anni sei diventata una voce importante nel panorama enologico italiano, non solo come produttrice, ma anche come figura influente. Quale responsabilità senti nel rappresentare le donne del vino?

Non mi sento necessariamente una rappresentante delle donne del vino, quanto piuttosto una persona che ha rappresentato i vignaioli indipendenti, in Italia come presidente della FIVI e in Europa come presidente della CEVI.

Mi sento ancora in cammino con la mia cantina, sto ancora facendo un percorso e devo ancora imparare tanto. Certamente mi piace passare il messaggio che il nostro lavoro sia un atto di custodia: proteggere, nutrire e trasmettere conoscenze e terra alle generazioni future. Occorre dare fiducia a chi viene dopo di noi, così come mio padre ha creduto in me e nei miei fratelli, e come cerco di fare con le mie figlie.

Ai giovani vignaioli che iniziano vorrei dire: segui ciò che ami davvero.
Ascolta la terra. Fidati del tuo gusto.

C’è un momento della tua carriera di cui sei particolarmente orgogliosa?

Diventare presidente della CEVI è stato un momento molto significativo, soprattutto perché sono stata la prima vignaiola italiana a ricoprire questo ruolo. È stato un vero riconoscimento del lavoro svolto dalla FIVI.

Guardo con affetto anche al mio percorso con la FIVI e ai tanti vignaioli che ho incontrato nel mio cammino. I loro consigli hanno contribuito a formare la persona che sono. Un nome che mi è rimasto nel cuore è quello di Costantino Charrère, che mi accolse con calore e generosità nel 2010. Ha un posto molto speciale nella mia storia.

Qual è il tuo vino preferito quando non sei in vigna?

Se si tratta di un vino che non produco io, direi la Schiava dell’Alto Adige, in particolare della zona di Santa Maddalena. Questi vini mi ispirano quando vinifico il Bardolino. Raccontano la tradizione enologica artigianale e rurale dell’Alto Adige, e lo trovo profondamente significativo.

E il tuo abbinamento cibo-vino preferito?

Sono orgogliosamente veneta e adoro il baccalà mantecato abbinato al Bardolino. Può sorprendere, visto che molti si aspettano il pesce solo con i bianchi. Un altro abbinamento che amo sempre di più è la pizza col Chiaretto. A Verona ci sono pizzerie di tutto rispetto e alcune si stanno lanciando in una bella selezione di vini.

Mi accorgo che sono stata autoreferenziale, ho suggerito abbinamenti con i nostri vini ma a volte occorre anche fare un po’ di marketing!