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ISSIMO X Le Donne del Vino:
Silvia Imparato

11 Dicembre 2025

ISSIMO X Le Donne del Vino: Silvia Imparato

Incontro con la donna che ha disegnato la Campania sulla mappa dei vini pregiati

Quando nel 1991 Silvia Imparato mise sul mercato la prima annata di Montevetrano, un audace blend di Cabernet Sauvignon, Merlot e Aglianico coltivati sulle colline fuori Salerno, pochi avrebbero immaginato che sarebbe diventato uno dei vini più celebri del Mezzogiorno. Eppure, in brevissimo tempo, Montevetrano è diventato un vino di culto che si è guadagnato gli elogi della critica internazionale e ha contribuito a imporre la Campania come territorio in grado di produrre rossi di prim’ordine.

Dopo l’esordio come fotografa a Roma, Silvia Imparato ha trasformato la storica tenuta di famiglia a San Cipriano Picentino in un’azienda vinicola all’avanguardia. Il suo è un percorso fatto di intuizione, determinazione e profondi legami con la terra e la comunità. Oggi, a distanza di oltre trent’anni, il Montevetrano rimane un punto di riferimento e Imparato continua a guidarne l’evoluzione con energia e passione, con un senso di profondo rispetto per il patrimonio agricolo della sua regione.

Di seguito riflette su esordi, responsabilità, cambiamenti nel mondo enologico e sul significato di essere una leader donna in questo settore.

Com’è iniziato il suo percorso nel mondo del vino? C'è stato un momento di svolta in cui ha compreso che Montevetrano poteva diventare il lavoro della sua vita?

Tutto è iniziato dalla tenuta dei miei nonni, Montevetrano appunto, acquistata all’inizio degli anni Quaranta. Sono cresciuta amando quel posto. Negli anni Ottanta, mentre lavoravo come fotografa a Roma, durante un servizio fotografico un cliente americano iniziò a parlarmi della sua passione per il vino. Fu lì che scattò la molla. Mi resi conto che Montevetrano poteva trasformarsi da luogo dei ricordi nel mio futuro.

All’epoca, i terreni erano in gestione a tre famiglie di agricoltori locali. Molti giovani se ne andavano per trovare lavoro altrove. Un ragazzo in particolare mi colpì, però. Era brillante, pieno di vita, molto simile a mia figlia. Pensai che, se fossi riuscita a creare posti di lavoro, lui sarebbe probabilmente rimato e si sarebbe costruito anche una vita. Fu quell’idea a innescare la scintilla.

Quando mi innamoro di un progetto, mi lascio trasportare dall’energia e, in questo caso, da un pizzico di incoscienza. Invitai a Montevetrano gli amici di Roma amanti del vino: Daniele Cernilli, Luca Maroni e naturalmente Riccardo Cotarella, che allora era semplicemente “Riccardo”, un amico, e non ancora l’icona dei nostri giorni. Passammo dei fine settimana a parlare, assaggiare e sognare.

Nel 1993 feci assaggiare la prima annata, quella del 1991, a persone che avevo immortalato, tra cui la famiglia Antinori e i Sebasti, e la loro reazione fu spiazzante. Mi dissero che il vino era straordinario. In quel momento compresi che avevo per le mani qualcosa di importante. Qualcosa che avrebbe segnato una svolta.

Ecco perché chiusi il mio studio fotografico e mi dedicai anima e corpo a Montevetrano.

Quali sono state le maggiori sfide nel trasformare la tenuta in un’azienda vinicola improntata alla qualità?

Il sogno è una cosa, la realtà un’altra. La terra era bellissima: colline mediterranee con noccioli, ulivi, alberi da frutto e un fiume che un tempo scorreva rigoglioso. I vigneti, invece, raggruppavano diverse varietà piantate più per fare quantità che qualità: uva di Troia, Piedirosso, Moscato, tutti mescolati.

Grazie all’aiuto di Riccardo iniziammo un enorme lavoro di reimpianto e innesto. Nonostante qualcuno mi avesse suggerito di ingaggiare lavoratori toscani, le famiglie del luogo erano più che capaci visto che avevano sempre lavorato quella terra. E infatti misero in fila ogni vite, seguendo tutte le istruzioni del caso. Insistetti per effettuare le piantumazioni in modo circolare intorno a tutta la proprietà per capire come le diverse esposizioni e i diversi terreni avrebbero plasmato i frutti.

Poi, è arrivato il cambiamento climatico. Siccità, stagioni impazzite. Siamo andati alla ricerca dell’acqua per anni fino a quando abbiamo trovato una sorgente. In alcune annate abbiamo prodotto meno per preservare la qualità. Perché, alla lunga, la qualità vince sempre: si fa spazio da sola.

Oggi, cosa guida le sue decisioni a Montevetrano? Qual è il vostro “filo rosso”?

Sapere chi si è, pur riconoscendo di far parte di un mondo che cambia a velocità straordinaria. I gusti cambiano, la conoscenza aumenta. Nel mondo del vino, non esiste la verità assoluta. Infatti, se prova a versare lo stesso vino in cinque calici diversi, potrebbe addirittura pensare di avere davanti cinque vini diversi. La temperatura cambia la percezione. L’umore cambia la percezione.

Il mio impegno consiste nel comprendere queste differenze, nel rispettare le culture e i contesti in cui il nostro vino arriva, e infine nel sentire l’onore, oltre che l’onere, di creare qualcosa in grado di generare piacere. Nessuno ha bisogno di bere vino e l’offerta è smisurata. Quindi perché scegliere Montevetrano? Perché non dobbiamo limitarci a offrire un prodotto buono, ma un prodotto con un suo significato, un prodotto in grado di emozionare.

È questa l’ambizione che mi dà energia ogni giorno.

Qual è la parte del suo lavoro che le dà più gioia oggi?

Incontrare persone. Mi trasmettono tanto affetto ed entusiasmo. Mi commuove sempre la soddisfazione delle persone per un prodotto che hanno acquistato; la percepisco come un dono.

Incontrare persone provenienti da tutto il mondo mi consente di capire come stia cambiando il mondo, anche in momenti difficili come quello attuale. Sono una ottimista: nonostante tutto, le guerre, le crisi, credo nel valore della vita, dell’energia umana, della possibilità della pace.

“Nessuno ha bisogno di bere vino; l’offerta è smisurata. Quindi perché scegliere Montevetrano? Perché non dobbiamo limitarci a offrire un prodotto buono, ma un prodotto con un suo significato, un prodotto in grado di emozionare.”

In che modo, l’essere donna alla guida di un’importante azienda vinicola del Mezzogiorno ha eventualmente plasmato il suo percorso?

Quando iniziai, negli anni '80, le donne erano pochissime. Anche se quelle presenti erano impressionanti. Oggi siamo veramente in tante e questa è una gioia.

Ho sempre creduto nel potere della diversità, tra le persone, tra uomini e donne. La diversità ci aiuta a creare cose nuove e migliori. Nel mio lavoro incontro donne provenienti dal nord, dal centro, dal sud Italia e spesso anche dall’estero. Il mondo del vino si è aperto in modo straordinario.

Ovviamente, come spesso accade, anche nel mio ambito si incontrano persone che apprezziamo e persone che, invece, sono semplicemente diverse da noi. È la normalità. Oggi le donne non hanno limiti di possibilità nel nostro settore e lo scambio di idee è più vivace che mai.

Guardando al futuro, cosa ci riserva il Montevetrano nei prossimi 5-10 anni?

Di recente abbiamo preso una decisione importante: abbiamo ceduto il marchio Montevetrano a Tenuta Ulisse, parte del fondo di investimento Whitebridge, pur mantenendo la proprietà dei vigneti, della cantina e della tenuta.

Il mondo è cambiato: gli aspetti economici hanno ormai assunto un ruolo cruciale nel vino. Ho scelto un gruppo che si è fatto le ossa con il lavoro, ha una robusta solidità finanziaria ed è in grado di valorizzare il nostro nome. Grazie a questa partnership, possiamo finalmente dare vita a progetti pianificati da tempo: il lancio di un Core rosato il mese prossimo e un nuovo vino nell’anno a venire. Ci stiamo espandendo.

Già, uso il ci e mai il mi soltanto, perché Montevetrano lo abbiamo costruito insieme. E così deve essere in futuro. Sono troppi i marchi storici scomparsi perché non hanno saputo adattarsi. Ed è proprio da queste storie che ho imparato.

Nonostante tutto, Montevetrano, la terra dei miei nonni, rimane nostra. Vedere l’azienda crescere, proseguire, evolvere: questo è il mio unico vero desiderio per il futuro.

Cosa la fa andare avanti dopo tanti anni?

L’energia, nel senso di dovere. Quando si lavora con la terra, con le persone, con un prodotto che arriva sulle tavole di tutto il mondo, si deve questa energia non solo a sé stessi ma anche agli altri.

Ai miei esordi la Campania era conosciuta soprattutto per la pizza, la mozzarella e i mandolini, cose bellissime, per l’amor del cielo! Ma c’è ben altro: una radicata tradizione agricola. Sono orgogliosa di quanto abbiamo costruito, a volte aiutati dalla fortuna, altre dalle contingenze, ma sempre guidati dalla passione.

Finché vivrò, Montevetrano sarà parte di me. Anzi, è tutta me stessa.

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