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ISSIMO X Le Donne del Vino: Federica Boffa

13 Novembre 2025

ISSIMO X Le Donne del Vino: Federica Boffa

L’erede di Pio Cesare parla di tradizione, innovazione e identità

A soli 23 anni, Federica Boffa ha preso le redini della quinta generazione della storica cantina Pio Cesare, fondata nel 1881, simbolo del Barolo e del Barbaresco. Cresciuta tra i vigneti di Alba e immersa in decenni di tradizione familiare, oggi Federica guida l’azienda verso il prossimo capitolo – un capitolo all’insegna dell’unione tra patrimonio e innovazione, freschezza e tradizione. Sotto la sua direzione, Pio Cesare non solo onora il suo illustre passato, ma abbraccia attivamente il futuro: riducendo i tempi di invecchiamento per ottenere vini più accessibili, sostenendo vitigni autoctoni come il Timorasso, e ampliando la cantina con una particolare attenzione alla sostenibilità.

La leadership di Federica è incredibilmente silenziosa, ben radicata nel rispetto del terroir e della tradizione, ma trainata da una sensibilità moderna e da un impegno verso l’inclusività. In un settore ancora noto per la sua élite dominata dagli uomini, Federica è un esempio della nuova generazione di donne che stanno plasmando il mondo del vino italiano. Per ISSIMO X Le Donne del Vino, abbiamo parlato con Federica di come portare avanti un’eredità, di come affrontare i cambiamenti climatici nei vigneti e della creazione di vini – e di un’identità – che rispecchiano il loro tempo.

Hai preso in mano le redini di Pio Cesare a soli 23 anni, dopo la scomparsa di tuo padre. Qual è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare, entrando in un’azienda storica in giovanissima età?

Ho preso in mano l’azienda nel 2021, a soli 23 anni. Avevo già lavorato in cantina per un po’; del resto sono nata e cresciuta in questo mondo, non sono entrata in campo completamente impreparata. Tuttavia, la sfida più grande è stata quella di sostenere il peso di un’eredità storica – una cantina che ha quasi 145 anni. Il nome di Pio Cesare porta con sé una grande aspettativa in tutto il mondo, e calarsi in questa realtà in tutta la mia giovinezza ha reso la sfida ancora più impegnativa. E lo è tuttora; in fondo, sono passati solo quattro anni. Sembra un attimo e, al tempo stesso, una vita intera.

Hai descritto la tradizione come un punto di partenza piuttosto che una costrizione. In che modo onori l’eredità di Pio Cesare, pur mantenendo l’aspetto attuale del marchio?

Il mio obiettivo è stato quello di agire come ambassador di questa lunga tradizione, ma con un approccio che parli al presente. Ho cercato di comunicare il lato innovativo, fresco e giovanile della nostra cantina, pur onorando la sua storia. Sì, è vero: la fondazione risale al 1881, ma nel 2025 siamo più vivi che mai e guardiamo costantemente al futuro. Ho potuto farlo grazie al nostro straordinario team, che lavora sodo nei vigneti, in cantina e in ufficio: è grazie a esso che siamo in grado di produrre vini di elevata qualità che, pur restando radicati nella tradizione, si sentono contemporanei, accessibili e attraenti anche per i consumatori più giovani.

Il cambiamento climatico è una questione cruciale per la viticoltura. Come sta influenzando il vostro lavoro nelle Langhe, e come vi state adattando?

Oggi raccogliamo quasi un mese prima (se non di più) rispetto a 15-20 anni fa, il che comporta delle sfide, soprattutto considerando che l’irrigazione è vietata nelle nostre denominazioni e la scarsità d’acqua è un problema reale. Ma, allo stesso tempo, stiamo raggiungendo una maturazione più completa, lenta ed equilibrata. Questo ci consente, soprattutto con il Nebbiolo, di raccogliere quando il frutto può dare il meglio di sé. In cantina, questo ci ha permesso di accorciare l’invecchiamento in botte per vini come il Barolo e il Barbaresco, prolungando invece l’invecchiamento in bottiglia. Di conseguenza, i nostri vini sono più accessibili da giovani, ma mantengono comunque la longevità e il potenziale di invecchiamento insiti nel DNA del Nebbiolo. Questo cambiamento ha aiutato i consumatori più giovani, o comunque meno esperti, a entrare più facilmente in connessione con i nostri vini.

Visto il livello di regolamentazione di Barolo e Barbaresco, dove vedi spazio per l’innovazione in Pio Cesare?

L’innovazione è più difficile in denominazioni con regole molto rigide, ma abbiamo trovato un’entusiasmante evoluzione nei vini bianchi. Lo Chardonnay è diventato una sorta di uva di famiglia per noi – mio padre è stato tra i primi a piantarlo in Piemonte (e in Italia) alla fine degli anni Settanta. Personalmente, sono molto appassionata di bianchi, e stiamo lavorando sempre di più per produrre vini bianchi con un reale potenziale di invecchiamento. L’anno prossimo lanceremo un Timorasso, un vitigno bianco autoctono della nostra zona che era stato quasi dimenticato, per poi essere riscoperto solo di recente. Stiamo inoltre ampliando la nostra storica cantina di Alba per creare uno spazio dedicato ai bianchi, cosa che segna un nuovo importante capitolo per noi.

Il Piemonte è conosciuto a livello mondiale per i suoi vini rossi, eppure tu sembri molto appassionata di bianchi. Perché vedi tanto potenziale in loro?

Il Piemonte ha un grande potenziale nei vini bianchi, non solo con il Timorasso, ma anche con l’Arneis, il Gavi e varietà internazionali come lo Chardonnay e il Sauvignon Blanc, che ormai, dopo decenni di coltivazione, sono diventate profondamente rappresentative del nostro terroir. Per molti versi, questo è un altro modo di reinterpretare la tradizione: rivisitando varietà autoctone meno conosciute ed elevando i bianchi allo stesso livello dei grandi rossi delle Langhe.

In qualità di giovane donna a capo di un’importante azienda vinicola in un settore storicamente dominato dagli uomini, come hai vissuto questo tipo di industria?

Credo sinceramente che il vino possa fornire un esempio di leadership femminile e di inclusività. Oggi sono molte le donne che occupano ruoli di rilievo, e io stessa mi sono sempre sentita supportata da colleghi, collaboratori, importatori e clienti. Personalmente, non ho mai percepito il mio genere come un grosso ostacolo; forse è stata piuttosto la mia giovane età a rappresentare uno scoglio più alto, perché l’esperienza richiede tempo. Ma sono stata fortunata: mio padre mi ha introdotto presto nella nostra rete e sono sempre stata accolta con grande calore. Detto ciò, ci sono ancora tanti progressi da fare, e il continuo riconoscimento delle donne in tutti i ruoli – comprese le sommelier, che spesso sono le prime ambassador dei nostri vini – è fondamentale. È incoraggiante vedere che molte giovani donne entrare nel settore e venire premiate per il loro lavoro; è un segnale che indica un cambiamento culturale più ampio.

“Il mio obiettivo è stato quello di agire come ambassador di questa lunga tradizione, ma con un approccio che parli al presente”

Come riesci a conciliare l’identità storica di Pio Cesare con la comunicazione moderna e i mercati emergenti?

Quando ho cominciato ad assumere maggiori responsabilità, ci siamo resi conto che la comunicazione doveva evolversi. Mio padre, essendo molto tradizionale e riservato – da buon piemontese – non era naturalmente incline a mettersi in prima linea né a porre il marchio sotto i riflettori. Insieme, abbiamo deciso di collaborare con una agenzia di pubbliche relazioni per la prima volta in 140 anni, cosa che ci ha aiutato a esprimere la nostra identità, il nostro lavoro e i progetti futuri con maggiore chiarezza. Attualmente, mi occupo io stessa dei nostri social media, anche se con il tempo struttureremo maggiormente questo aspetto. Ad oggi, esportiamo in 50-55 Paesi, con una produzione relativamente piccola distribuita su molte etichette, perciò ogni mercato è importante. Oltre alle regioni consolidate, stiamo crescendo anche in nuovi territori come Francia, Sudafrica, Kenya e nei piccoli mercati europei emergenti

C’è qualche sviluppo imminente in cantina di cui sei particolarmente entusiasta?

Al momento, il progetto più grande è l’ampliamento della nostra cantina storica, che dovrebbe essere completato tra dicembre di quest’anno e giugno del prossimo. Il progetto prevede la riorganizzazione delle aree di imbottigliamento e della logistica, l’ampliamento degli spazi per l’invecchiamento in bottiglia e la creazione di un’area dedicata ai vini bianchi, dotata di tecnologie sostenibili e all’avanguardia, come pannelli solari e sistemi di riutilizzo energetico. Questo ci permetterà di lavorare in maniera più efficiente, innovativa e responsabile.

Infine, hai un vino preferito tra quelli che produci?

Se dovessi sceglierne uno, direi il Barbaresco Il Bricco, un vino da un singolo vigneto nel Bricco di Treiso. C’è una ragione molto personale: in cima alla collina c'è la casa di famiglia dove ho trascorso tutte le estati da bambina, dove ho vissuto le vendemmie fin da piccola. Anche dal punto di vista stilistico, Il Bricco sfida qualsiasi aspettativa. Mentre il Barbaresco è spesso considerato più delicato del Barolo, Il Bricco ha un carattere e una potenza straordinari, pur rimanendo elegante e raffinato. Spesso dico che rappresenta le donne delle Langhe: forti, resistenti, abili e sensibili. È un vino che sorprende sempre.

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