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ISSIMO X Le Donne del Vino: Marilisa Allegrini

June 11, 2025

ISSIMO X Le Donne del Vino: Marilisa Allegrini

Due chiacchiere sull’eredità familiare e sul vino con la presidente del Gruppo, Marilisa Allegrini

Nel mondo del vino italiano, sono pochi i nomi in grado di competere con quello di Marilisa Allegrini. L’enologa è presidente e cuore pulsante del Gruppo Marilisa Allegrini, una realtà a conduzione familiare con oltre 400 anni di storia vitivinicola in Valpolicella (se l’Amarone è oggi conosciuto in tutto il mondo, lo si deve a lei). Ma non lasciarti ingannare dal suo background – Marilisa non è solo una figura simbolo della tradizione

Nel corso degli anni, non solo ha ampliato l’eredità familiare anche in Toscana, con rinomate tenute a Bolgheri e Montalcino, ma ha anche abbracciato con convinzione la sostenibilità, contribuendo a scrivere la storia del vino italiano secondo le proprie regole

Abbiamo avuto il piacere di incontrare colei che ha portato uno dei rossi più audaci d’Italia sulla scena internazionale per parlare di eredità, leadership e sostenibilità – oltre che dell’abbinamento perfetto per il Brunello.

La tua famiglia produce vino in Valpolicella da oltre quattro secoli. Cosa significa per te la parola "eredità" e come riesci a bilanciare tradizione e innovazione nel tuo lavoro oggi?

Più che di eredità, mi piace parlare di legacy, un termine inglese che esprime non solo ciò che si riceve, ma anche ciò che si sceglie di custodire, interpretare e trasmettere. Evoca un senso di appartenenza, di responsabilità e di identità condivisa. Io l’ho ricevuta da mio padre e ne sono profondamente orgogliosa, e al pari desidero trasmetterla alle mie figlie. Nel mondo del vino, così come in molti settori, è difficile immaginare un futuro senza il coraggio di innovare. Ma la vera innovazione richiede una conoscenza profonda delle proprie radici. In questo senso, la tradizione non è un vincolo, ma una guida. Alla base devono esserci valori condivisi, senza i quali viene meno l’identità, e dunque la visione.

Sei stata una delle protagoniste nella valorizzazione internazionale dell’Amarone. Qual era la tua visione all’inizio di questo percorso e cosa ti ha sorpreso di più lungo la strada?

Ho iniziato a viaggiare giovanissima, soprattutto negli Stati Uniti. Ho sempre avuto una convinzione molto chiara: un grande vino non basta produrlo, bisogna anche saperlo raccontare, farlo conoscere, creare un dialogo culturale attorno a ciò che rappresenta.

E sono molto fiera di aver portato il vino italiano sulla scena internazionale, come espressione di un territorio unico e di una tradizione secolare. In generale, quella del vino italiano di qualità è una lingua universale, che parla di autenticità e passione. Ho imparato che, quando c’è verità in ciò che si fa, il mondo sa ascoltare. E mai come oggi confermo la mia visione: il vino va raccontato, ma ancora di più il mondo del vino deve aprire le porte. La cultura del vino è strettamente legata a quella dell’ospitalità e noi italiani in questo non siamo secondi a nessuno.

Dalle colline di Bolgheri a quelle di Montalcino, il Gruppo Marilisa Allegrini si è espanso con eleganza e coerenza. Cosa ti conquista di un luogo quando scegli una nuova tenuta?

Credo molto al colpo di fulmine. E per Bolgheri, ad esempio, è stato così: amore a prima vista. A conquistarmi è l’anima del territorio: la sua bellezza autentica, il potenziale enologico ovviamente, ma soprattutto la sua capacità di raccontare una storia. Cerco coerenza con i valori che da sempre guidano il mio lavoro e la nostra azienda. A Bolgheri e a Montalcino ho trovato territori con una forte personalità, capaci di esprimere grandi vini, ma anche luoghi in cui il paesaggio, la cultura e l’umanità parlano lo stesso linguaggio del vino. Non si tratta solo di investire in una tenuta, ma di entrare in punta di piedi in un contesto vivo, ascoltarlo e contribuire a valorizzarlo con visione e rispetto. Insieme a Villa Della Torre a Fumane, Poggio al Tesoro e San Polo sono, per me, casa. Un legame indissolubile di cui essere fieri.

In un settore tradizionalmente dominato dagli uomini, hai costruito un percorso straordinario. Quali sfide ti hanno segnata maggiormente come donna del vino, e come hai ridefinito la leadership in questo ambito?

Quando ho iniziato, il ruolo delle donne nel vino era sicuramente più marginale. Oggi siamo protagoniste e, come in tutti i casi, le disuguaglianze ancora esistenti vanno affrontate con determinazione e ottimismo. Ho sempre creduto che le donne abbiano il diritto di compiere azioni che segnino un cambiamento, che portino consapevolezza sul loro vero valore. In tal senso la leadership per me è sempre stata basata sul dialogo e sull’ascolto, così come sulla capacità di saper scegliere mantenendo fede ai propri valori. Non ho mai fatto qualcosa per imitare qualcuno. Oggi vedo sempre più donne portare un contributo fondamentale al mondo del vino, e questo mi conferma che ogni passo è stato parte di un cambiamento necessario.

“Nel mondo del vino, così come in molti settori, è difficile immaginare un futuro senza il coraggio di innovare. Ma la vera innovazione richiede una conoscenza profonda delle proprie radici.”

La sostenibilità è al centro della tua filosofia. Come vedi il legame tra responsabilità ambientale e futuro del vino di qualità in Italia?

La sostenibilità non è più una scelta; è una necessità etica e culturale. Non possiamo parlare di futuro, né tantomeno di qualità, se non ci assumiamo la responsabilità di custodire e rigenerare il patrimonio naturale e umano che ci è stato affidato. Il vino nasce dalla terra, e ogni gesto agricolo ha un impatto che si riflette sul paesaggio, sull’ambiente, sulle comunità. La sostenibilità richiede un approccio olistico: riguarda la viticoltura, certo, ma anche l’energia, la gestione delle risorse, il benessere delle persone che lavorano con noi. È una visione che chiede coerenza e investimento nel tempo, ma che restituisce valore profondo, identità e credibilità. L’Italia ha la straordinaria opportunità di guidare questo cambiamento, coniugando tradizione e innovazione in una narrazione di qualità che sia anche responsabilità. È questa la vera sfida: produrre grandi vini che parlino non solo di terroir, ma anche di futuro.

In che modo preferisci gustare i tuoi vini – e con quale piatto li abbineresti?

Credo che il modo migliore per degustare i vini sia farlo nel luogo in cui vengono prodotti. È per questa ragione che le nostre aziende non sono solo luoghi di produzione, ma anche di ospitalità. Essere a Villa Della Torre e poter assaggiare i vini prodotti nel vigneto che circonda la Villa, trovarsi a San Polo e poter guardare il Monte Amiata mentre si degustano i Brunelli, ammirare il mare della costa toscana e avere in mano un calice dei vini di Poggio Al Tesoro. Sono tutte esperienze che fanno cogliere il senso del nostro lavoro, ma soprattutto del nostro modo di essere e di stare in questo settore. Abbinerei i nostri vini ai piatti della tradizione del luogo in cui i vini vengono prodotti, ma anche a piatti che la mia famiglia mi chiede sempre di preparare. Un’anatra all’arancia con il Brunello di San Polo, i ravioli con branzino e zenzero abbinati al Sondraia Bianco, l’arrosto di vitello con l’Amarone.

Hai un vino preferito?

È una domanda difficile perché ogni nostro vino è parte di un percorso di storia a cui sono legata, ma il Solosole è forse la mia scommessa più riuscita, un bianco eccellente in un territorio di vini rossi.

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